Ci sono epoche che più di altre brillano nella memoria collettiva. E ci sono città che, come scrigni di storia, custodiscono il riflesso vivo di quel bagliore.

La Gilded Age, l’Età Dorata degli Stati Uniti, è una di quelle epoche. Un periodo breve, concentrato tra il 1870 e il 1900, ma così denso di trasformazioni, visioni e contraddizioni da segnare per sempre il volto dell’America moderna.

Fu un’epoca in cui pochi uomini accumularono fortune colossali, edificando imperi industriali e commerciali che cambiarono il mondo. Fu l’età dei Rockefeller, dei Vanderbilt, dei Morgan, dei Carnegie e dei Mellon. Giganti del carbone, dell’acciaio, della finanza e delle ferrovie. Ma fu anche l’età dei grandi balli nei palazzi di Manhattan, delle estati opulente a Newport, dei vagoni ferroviari privati, degli yacht a vapore che attraversavano l’Atlantico come salotti galleggianti. Un’America brillante fuori, ma profondamente diseguale dentro.

Proprio da questa contraddizione prende il nome l’epoca: “Gilded”, dorata, ma solo in superficie. A coniare il termine fu Mark Twain, che con pungente ironia intitolò così un suo romanzo del 1873, suggerendo che sotto l’oro si nascondevano fango e fragilità sociali.

Eppure, nonostante le sue ombre, la Gilded Age lasciò in eredità qualcosa di straordinario: una visione dell’eccellenza, del gusto, della bellezza, che ancora oggi si riflette nei luoghi che raccontano quell’epoca.

New York, la capitale dorata

Nessun luogo incarna meglio l’ambizione e il sogno americano della Gilded Age quanto New York. Era la città dove tutto sembrava possibile, dove le fortune si costruivano in una notte, dove i tetti delle case sembravano voler competere con il cielo e le idee con le stelle.

Gilded Age New York

Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, la città era un caleidoscopio di contrasti: milioni di immigrati sbarcavano ogni anno a Ellis Island, cercando una nuova vita, mentre poche centinaia di famiglie dominavano l’economia, la politica, la cultura e – forse ancor più – l’apparenza sociale. Era l’epoca in cui i nomi dei Robber Barons, i “baroni ladri” come li chiamavano i critici, facevano notizia per le donazioni filantropiche, i duelli a colpi di eventi mondani, ma soprattutto per le loro case faraoniche lungo la Fifth Avenue.

Il fermento era ovunque: Broadway brillava con i suoi teatri e cabaret, i primi grattacieli cominciavano a svettare sopra il profilo basso della città, mentre le carrozze dorate si fermavano davanti alle entrate private delle mansion con un fragore di zoccoli e seta. Ogni sera era buona per una cena sontuosa o un ballo “in maschera”… e ogni mattina una nuova occasione per scalare un altro gradino della gerarchia sociale.

Le case dei tycoon dell’industria

Tra le tante storie che raccontano l’eccesso e il genio di quell’epoca, ce n’è una che sembra uscita da un romanzo: Andrew Carnegie, magnate dell’acciaio, fece costruire la sua residenza all’estremo nord della Fifth Avenue – una scelta inusuale, allora considerata “troppo fuori mano” dall’alta società. Ma Carnegie non era tipo da seguire le mode. Fece realizzare una casa con un’idea precisa: voleva che fosse moderna, efficiente… e riscaldata. Così fece costruire una ferrovia privata, interrata, che portava direttamente nel seminterrato della villa il carbone necessario per alimentare la caldaia, senza disturbare la quiete dei saloni o l’arrivo degli ospiti. Era il 1903: nessuno aveva mai visto nulla del genere. Oggi quella stessa casa ospita il Cooper Hewitt Smithsonian Design Museum.

Più a sud, al civico 2 della 91ª strada, sorgeva la casa di Henry Clay Frick, banchiere e collezionista, tanto potente quanto riservato. L’ingresso su Fifth Avenue era sorvegliato da colonne corinzie e statue greche, ma ciò che lasciava davvero senza fiato erano gli interni: quadri originali di Rembrandt, mobili Luigi XV, una fontana zampillante nel cortile interno… tutto progettato per non sfigurare davanti alle corti europee. Quando Frick morì, lasciò istruzioni precise affinché nulla venisse toccato. Così ancora oggi, entrando alla Frick Collection, si ha l’impressione che il padrone di casa stia solo facendo un giro per Central Park.

Cooper Hewitt Smithsonian Design Museum

Un altro aneddoto curioso riguarda l’imponente dimora dei Vanderbilt: una “casa” di 130 stanze che occupava un intero isolato tra la 57ª e la 58ª strada. Era così grande da includere un teatro privato, un salone da ballo a doppia altezza e un portone d’ingresso su misura per le carrozze più alte. Cornelius Vanderbilt II, il più ricco del clan, fece persino importare dal sud della Francia delle querce secolari per arredare la biblioteca.

Ma nulla batteva il salotto della signora Alva Vanderbilt, moglie di William Kissam Vanderbilt. Ambiziosa, brillante, determinata a farsi accettare dalla vecchia aristocrazia newyorkese, Alva organizzò un ballo mascherato nel 1883 destinato a entrare nella leggenda: fece costruire una sala da ballo temporanea annessa alla casa per ospitare 1200 persone, ordinò costumi ispirati alla nobiltà francese e fece distribuire inviti scritti a mano su pergamena. Il successo fu tale che da quel giorno, i Vanderbilt furono ufficialmente “accettati” nella società dell’élite. La Gilded Age era anche questo: spettacolo, ostentazione, strategia sociale.

Dove rivivere oggi lo splendore dell’età dorata

The Lotte New York Palace, al numero 455 di Madison Avenue, rappresenta uno degli esempi più iconici. La parte storica dell’edificio è costituita da sei townhouses neoclassiche realizzate nel 1882 per Henry Villard, un magnate delle ferrovie. Oggi, queste residenze fanno parte di un lussuoso hotel a cinque stelle, dove ogni dettaglio è curato per offrire un soggiorno che profuma d’antico ma vibra di contemporaneità. Le stanze del complesso “The Towers” offrono viste mozzafiato su St. Patrick’s Cathedral, mentre il bar Rarities propone un viaggio tra i liquori vintage più rari del mondo. Una cena nella dorata “Gold Room” vi trasporterà direttamente nella Belle Époque newyorkese.

Fifth Avenue

The Fifth Avenue Hotel, nel cuore di NoMad, è invece una meraviglia più recente ma con lo spirito giocoso e decadente della Gilded Age. Le stanze, firmate Martin Brudnizki, sono un trionfo di colori, stoffe, specchi e lampade pagoda, tra suggestioni orientali e tocchi déco. Qui l’epoca dorata viene reinterpretata in chiave teatrale e sensoriale, con servizi su misura e cocktail d’autore serviti nel Portrait Bar, un piccolo gioiello nascosto dietro una libreria segreta.

Ma per chi desidera andare oltre l’esperienza alberghiera, Fifth Avenue continua ad essere il punto di partenza ideale per un itinerario storico tra i palazzi originali dell’élite americana. Il Frick Collection, ospitato nella residenza privata di Henry Clay Frick, è un museo che conserva intatto lo spirito dell’epoca: caminetti in marmo, arazzi, librerie in legno intagliato e una collezione d’arte che include Rembrandt, Vermeer e Bellini. Poco distante, il Cooper Hewitt Design Museum, nella casa di Andrew Carnegie, offre un’altra testimonianza viva del potere e del gusto estetico degli industriali dell’epoca.

E se amate l’atmosfera più raccolta delle dimore europee, non perdete la Neue Galerie all’86esima strada, all’interno della magione del magnate William Starr Miller, oggi scrigno dell’arte austriaca e tedesca di fine Ottocento, con opere di Klimt e Schiele.

Newport, l’altra capitale del lusso

Ma se New York era il palcoscenico della ricchezza visibile, Newport era il rifugio estivo dei tycoon. Una cittadina affacciata sull’Atlantico, dove i Vanderbilt, gli Astor e i Morgan trascorrevano le estati in “cottages” che di cottage avevano ben poco. Le residenze di Newport sono ancora oggi uno dei più impressionanti testimoni architettonici della Gilded Age.

Le dimore storiche da visitare

Tra tutte, The Breakers è forse la più celebre. Voluta da Cornelius Vanderbilt II come “casa delle vacanze”, è un palazzo in stile rinascimentale italiano da 70 stanze, con saloni in marmo, affreschi a soffitto e giardini terrazzati che si affacciano sull’oceano. Visitare i Breakers è come passeggiare in una Versailles americana, con la differenza che qui il lusso era vissuto ogni giorno, non solo messo in scena.

The Breakers

A poca distanza si trovano altre perle, come Marble House, costruita sempre dai Vanderbilt e ispirata al Petit Trianon di Maria Antonietta, e Rosecliff, con i suoi saloni curvi e il salone da ballo più grande della città, usato come set per film come Il Grande Gatsby e 27 volte in bianco.

Dove dormire tra i sogni di ieri

The Chanler at Cliff Walk è senza dubbio l’hotel più suggestivo della città. Situato all’inizio del celebre Cliff Walk – il sentiero costiero che attraversa le ville di Newport – è una dimora storica del XIX secolo trasformata in relais di lusso. Ogni stanza è arredata in uno stile diverso, dall’Impero francese al Rinascimento italiano, con vasche in rame, caminetti in pietra e terrazze private vista oceano. Impossibile non lasciarsi incantare dalle luci dell’alba che accarezzano i giardini fioriti o dal suono dell’Atlantico nelle notti d’estate.

Più urbano e vibrante è invece The Vanderbilt, Auberge Resorts Collection, un tempo vera dimora Gilded Age, oggi boutique hotel raffinato e pieno di vita. I suoi interni mescolano mobili d’epoca e tocchi contemporanei, mentre il ristorante Gwynne celebra i sapori del New England con eleganza. Qui ogni cena è una piccola festa, ogni soggiorno una parentesi di tempo rubata al XXI secolo.

Lo yacht, simbolo di status

Per gli uomini della Gilded Age, il vero simbolo di potere non era la casa… ma lo yacht. Le acque di Newport e Long Island erano solcate da imbarcazioni maestose, con nomi altisonanti come Valkyrie, Corsair o North Star, veri palazzi galleggianti con biblioteche, sale da musica, cucine gourmet e suite per gli ospiti. J.P. Morgan ne possedeva diversi e amava dire: “Se sai quanto ti costa, non te lo puoi permettere”.

yacht Newport

Oggi, rivivere quella sensazione è possibile grazie alle tante crociere storiche o agli yacht charter di lusso che propongono itinerari lungo la costa del New England. Molte compagnie offrono anche tour guidati delle dimore con arrivo in barca privata… un tocco di classe che gli ospiti della Gilded Age avrebbero sicuramente approvato.

Una serie che ha riacceso l’immaginario

La serie HBO The Gilded Age, firmata da Julian Fellowes (già autore di Downton Abbey), ha saputo riportare in auge l’interesse per questo periodo storico. I costumi, le scenografie, i dialoghi pungenti e le dinamiche tra vecchia aristocrazia e nuova ricchezza industriale hanno conquistato milioni di spettatori. Protagonisti come Bertha Russell, ispirata a Alva Vanderbilt, e George Russell, chiara eco di Cornelius Vanderbilt, incarnano perfettamente le tensioni e le ambizioni di quell’America che stava decidendo il proprio destino.

serie HBO The Gilded Age

Oggi, visitare i luoghi della serie – come i musei newyorkesi, i palazzi di Newport, i giardini storici – è diventata una forma di viaggio culturale e romantico, tra storia e fantasia.

La lezione dell’età dorata

Lontano dal clamore delle fortune accumulate e delle case decorate d’oro, la Gilded Age ci insegna anche un’altra cosa: il potere del sogno. Questi uomini e queste donne, con tutte le loro contraddizioni, hanno costruito un’America che guardava al futuro con audacia.

Hanno scommesso sulla bellezza, sull’arte, sull’educazione. Hanno lasciato musei, università, biblioteche, ospedali. E in un’epoca come la nostra, così incerta e frammentata, tornare a quei luoghi significa forse riscoprire un pò di quella fiducia nella possibilità.